I colori delle stelle
Claudio Elidoro

In una precedente spigolatura si sottolineava come anche un’occhiata distratta al cielo stellato ci permettesse di notare le differenti luminosità delle stelle. Altrettanto evidenti, però, sono i differenti colori che caratterizzano gli astri. Alcune stelle risplendono con un’intensa luce bianco-azzurrina, altre appaiono gialle, altre ancora sono decisamente rosse. Si può così osservare, ad esempio, il rosso di Aldebaran e di Antares, oppure il giallo di Capella o il bianco brillante di Vega e di Sirio, la stella più luminosa dei nostri cieli.

Al di là del gradevole effetto che questa parata cromatica ci propone, la presenza dei colori porta con sé importanti considerazioni di carattere fisico e astronomico.

Quando i fisici cominciarono a studiare l’emissione luminosa di un corpo incandescente, si accorsero che il cambiamento della temperatura del corpo riscaldato portava con sé anche la variazione di colore della luce emessa. Man mano che la temperatura di un corpo aumenta, il suo colore passa dal rosso cupo al giallo fino a giungere al bianco brillante. Una caratteristica certamente già ben nota agli esperti costruttori di lame dei secoli passati che erano in grado di determinare “a occhio” la temperatura del metallo e riuscivano, in tal modo, a rendere ottimale il processo di tempra.

Questa relazione trova la sua espressione fisica nella cosiddetta legge dello spostamento di Wien, una relazione che descrive il legame tra la temperatura del corpo e l’intensità della radiazione emessa. Nel diciannovesimo secolo lo studio dell’emissione luminosa era al centro dell’attenzione dei fisici e già era stato introdotto il concetto di radiatore ideale, o corpo nero. Mancava ancora una formulazione corretta e completa – formulazione che verrà introdotta solo nel 1901 grazie all’intuizione di Max Planck – ma, alla fine dell’Ottocento, la legge della radiazione del corpo nero aveva al suo attivo un gran numero di accurate misurazioni.

 

Fig. 1.

 

Nella fig. 1 si vede chiaramente come all’aumentare della temperatura corrisponda lo spostamento verso sinistra del punto più alto di ogni singola curva. La posizione del massimo dell’intensità, cioè, dipende dalla temperatura e, man mano che questa sale, il punto più alto della curva slitta verso lunghezze d’onda più piccole.

L’applicazione immediata degli studi sul radiatore ideale all’astronomia fu quella di considerare le stelle come una buona approssimazione del corpo nero. Questo comportava che i differenti colori, osservati tra gli astri, altro non fossero che il segnale di differenti temperature superficiali.

Lo studio dello spettro della luce emessa dalle stelle aveva portato all’introduzione di classi spettroscopiche, caratterizzate dalla presenza e dall’intensità di particolari righe spettrali. Questa classificazione, nota come Harvard Spectral Sequence - che deriva dai lavori pionieristici di Angelo Secchi, iniziati nel 1863 - si poteva benissimo leggere anche in termini di colore e temperatura superficiale delle stelle. Ogni classe spettrale, contraddistinta da una lettera dell’alfabeto, era caratterizzata da una differente temperatura superficiale e, di conseguenza, da un ben preciso colore.

A proposito delle lettere che contraddistinguono le varie classi è certamente nota la filastrocca che permette di ricordarne la sequenza: “Oh, Be A Fine Girl, Kiss Me”. Altre classi (R, N e S) sono state in seguito aggiunte a queste sette, ma le successive riedizioni della filastrocca (p.e. “Right Now, Smack”) non mi risulta abbiano avuto uguale successo.

La tabella 1 mostra la temperatura superficiale ed il corrispondente colore per ciascuna di queste classi fondamentali. Le temperature indicate nella tabella sono espresse in gradi assoluti (°K) e, ovviamente, si riferiscono al valore della temperatura superficiale delle stelle.

 

Tabella 1

 

Classe

Temperatura

Colore

O

50.000 – 29.000

azzurro

B

29.000 – 11.000

azzurro – bianco

A

11.000 – 7.500

bianco

F

7.500 – 6.200

bianco – giallo

G

6.200 – 5.400

giallo

K

5.400 – 3.800

arancione

M

3.800 – 2.700

rosso

 

Per ottenere una graduazione più fine, ogni classe è a sua volta suddivisa in 10 sottoclassi numerate da 0 a 9. Secondo questa classificazione, ad esempio, il Sole appartiene alla classe spettrale G2. A dire il vero la graduazione non si ferma a questo secondo livello e individua ulteriori sottoclassi, ma qui entriamo nel campo d’azione dei professionisti.

A noi interessa rilevare come il colore possa diventare un ottimo indicatore della temperatura superficiale di una stella. Ma gli astronomi non possono limitarsi ad indicazioni vaghe. Stabilire, però, se una stella è più o meno gialla o più o meno rossa di un’altra è un’impresa persa in partenza se non ci si affida a strumenti di rilevazione oggettivi. È esperienza comune, infatti, come la percezione del colore nella vita quotidiana sia in molte circostanze estremamente soggettiva (e non solo per chi è affetto da daltonismo).

Senza contare poi che il nostro occhio non ha uguale sensibilità con tutti i colori. A questo proposito è interessante sottolineare come l’occhio umano veda meglio nel giallo, proprio il colore della superficie del nostro Sole. E non si tratta solo di una fortunata coincidenza ...

Guardando ancora la fig. 1, però, possiamo suggerire un’altra considerazione. Certamente non sfugge il fatto che l’area delimitata dalle curve corrispondenti alle diverse temperature aumenta man mano che la temperatura cresce. Poiché la potenza emessa dal corpo nero è proporzionale a quest’area, è evidente che i corpi più freddi irraggeranno molto meno di quelli a temperatura elevata. Come spiegare, dunque, l’enorme flusso luminoso che ci proviene da alcune stelle rosse? Il trucco è tutto racchiuso nelle loro enormi dimensioni. Queste stelle, dette giganti rosse, hanno una superficie radiante immensa e benché ogni metro quadrato della loro superficie irraggi molto meno di altre stelle, l’effetto finale che ne risulta è che la stella appaia migliaia di volte più luminosa. Ancora più estrema è la situazione delle supergiganti rosse, le stelle più grandi che si conoscano. Le loro dimensioni sono davvero mastodontiche: se il raggio di Betelgeuse (circa 7 Unità Astronomiche) ci sembra immenso, cosa dovremmo dire di μ Cephei, una palla infuocata di 11,8 Unità Astronomiche di raggio?

 


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