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I colori delle stelle
Claudio
Elidoro
La necessità di ottenere misurazioni oggettive e affidabili sul colore delle stelle spinse nel 1953 gli astronomi H.L. Johnson e W.W. Morgan a ideare un sistema di filtri da collocare davanti al rilevatore della luminosità delle stelle. Questi filtri lasciavano passare solamente la luce la cui lunghezza d’onda era compresa entro un preciso intervallo di valori. Il dato raccolto dallo strumento, dunque, permetteva di determinare oggettivamente se nell’intervallo di lunghezze d’onda permesse dal filtro una stella fosse più o meno luminosa di un’altra. I filtri introdotti da Johnson e Morgan erano
caratterizzati dai seguenti valori (le lunghezze d’onda sono espresse in
Ångström):
Il valore della lunghezza d’onda centrale, caratteristica
di ogni filtro, ci permette di vedere che il filtro U si colloca nella
regione dell’ultravioletto, il B nel blu e il V nella regione giallo-verde,
con una risposta abbastanza vicina alla risposta dell’occhio umano. Ma l’uso dei filtri si mostra molto utile anche quando
viene applicato ad una singola stella. Le differenze tra la sua magnitudine
rilevata con un filtro e quella raccolta con un altro vengono indicate con le
sigle B-V e U-B e ad esse ci si riferisce con il termine di indici di colore. L’indice di colore ci offre notevoli informazioni, molto
di più della semplice rilevazione della magnitudine. Se una stella ha un
indice B-V positivo significa che la sua emissione nel visibile è maggiore di
quella nel blu (ricordiamo che le magnitudini diventano più piccole
all’aumentare della luminosità) e dunque la stella apparirà più rossa.
Viceversa un indice B-V negativo sarà il segno distintivo di una stella che
emette nella regione blu dello spettro elettromagnetico. Un paio di esempi numerici possono chiarire meglio il
concetto. Le magnitudini apparenti di Spica usando i filtri B e V
sono, rispettivamente, 0,7 e 0,9. Questo comporta che l’indice di colore B-V
risulta essere: (B-V)Spica = 0,7 – 0,9 = –
0,2 Un analogo calcolo per Antares (B = 2,7 e V = 0,9) ci
consente di ottenere (B-V)Antares = 2,7 – 0,9
= 1,8 Risultati che confermano che la superficie di Antares è
molto più fredda di quella di Spica. Fig. 2. Nella fig. 2 vengono messe a confronto con il Sole due
stelle della costellazione di Orione, l’azzurra Bellatrix
(g Orionis) di tipo spettrale B2 e la rossa
Betelgeuse (a Orionis) di
tipo spettrale M2. Il grafico intende descrivere il legame tra l’indice di
colore e la temperatura solo in modo approssimato. Cameron Reed (The Journal
of the Astronomical Society of Canada, vol 92 n.1 pag. 36) fornisce agli amanti delle formule un
paio di espressioni che legano l’indice di colore alla temperatura:
Per chi si accontenta di molto meno, nella tabella 2 sono
riportati i valori degli indici di colore, del tipo spettrale e della
magnitudine visuale di alcune stelle abbastanza conosciute. Per ciascuna
stella, inoltre, viene indicata anche la temperatura superficiale (in °K)
dedotta dall’indice di colore. Tabella 2
Inizialmente, Vega era stata scelta come stella campione
per definire la magnitudine Le informazioni fornite dall’indice di colore, però, non
si limitano solamente a suggerire il valore della temperatura superficiale.
Incrociati con altri parametri ci permettono di spingere la nostra conoscenza
delle stelle a livelli inaspettati. Ma racchiudere nelle poche righe che ci restano l’analisi
dei diagrammi colore-luminosità sarebbe davvero troppo riduttivo. Sarà dunque
materiale per una successiva spigolatura. |