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La radiazione Cherenkov
Claudio Elidoro

Tutti quanti abbiamo, almeno una volta, sentito il caratteristico bang emesso da un aeroplano quando supera la cosiddetta “barriera del suono”. Una situazione che fino agli anni Cinquanta era ritenuta pericolosa per la stessa tenuta strutturale del velivolo, ma che in seguito – soprattutto con gli aerei militari – è diventata assolutamente normale. Il primo caso documentato di un aereo che sia riuscito a infrangere la barriera del suono in volo livellato e controllato risale al 14 ottobre 1947 e l'impresa venne compiuta da Charles Yeager ai comandi di un Bell X-1, sganciato dal vano bombe appositamente modificato di un B-29. Dopo il buon esito di quel pionieristico tentativo, superare in aria la velocità del suono diventò quasi routine, tanto che risultò naturale indicare la velocità degli aerei più veloci utilizzando il “numero di Mach” che altro non è che il rapporto tra la velocità dell'aereo e quella del suono nell'aria (circa 1193 km/h).

Non è però nel campo delle prestazioni aeronautiche che intendiamo addentrarci, ma provare a rispondere a una domanda che il bang sonico ha insinuato nella nostra mente: esiste un fenomeno equivalente per la luce? Visto che per il suono il fenomeno nasce nel momento in cui si riesce a superare la sua velocità nell'aria, sembrerebbe che la nostra domanda non possa avere il minimo futuro. Per la teoria della relatività, infatti, la velocità della luce è la più alta consentita in natura e non c'è verso di riuscire a infrangere quel muro di 300 mila chilometri al secondo (per gli amanti della precisione sono 299.792,458 km/s). Tale velocità, però, è quella che caratterizza la radiazione elettromagnetica nel vuoto e questo valore solitamente diventa più basso quando la radiazione si deve muovere all'interno di un materiale; nell'acqua, per esempio, la luce viaggia a circa 230 mila chilometri al secondo.

La nostra domanda, dunque, è assolutamente plausibile. Per dirla tutta, però, non è così originale come potrebbe sembrare, dato che ormai sono quasi ottant'anni che i fisici conoscono la risposta. Il problema, infatti, è noto fin dal 1934, quando il fisico sovietico Pavel Alekseyevich Cherenkov (1904-1990) individuò una misteriosa radiazione blu – da allora indicata con il suo nome – prodotta da alcune soluzioni liquide sottoposte a radiazione gamma. La scoperta gli valse il premio Nobel per la fisica nel 1958, condiviso con Ilya Frank e Igor Tamm che erano riusciti a individuare quale fosse la spiegazione fisica del fenomeno. Quella misteriosa radiazione, inizialmente presa per fluorescenza, veniva emessa lungo la direzione dei raggi gamma, dunque era strettamente legata al loro movimento nel mezzo. Più precisamente, come spiegarono Frank e Tamm, era dovuta alle particelle cariche prodotte dalla radiazione che si muovevano nel mezzo a velocità superiore a quella permessa alla radiazione elettromagnetica.

Semplificando un po', proviamo a comprendere ciò che succede quando una particella carica, per esempio un elettrone, attraversa un dielettrico (vedi Fig. 1). Al suo passaggio, le molecole risentono della carica elettrica e si polarizzano, cioè si assiste a un accumulo di cariche positive in direzione dell'elettrone e, conseguentemente, di cariche negative all'altro capo di ciascuna molecola, una situazione che in elettromagnetismo viene definita con il termine di “dipolo”. Una volta che l'elettrone è lontano, le cariche tendono a ritornare al loro stato originario e i dipoli scompaiono, ma questo comporta l'emissione di un breve impulso elettromagnetico.

 

 

Fig. 1. Gli effetti della polarizzazione provocati da una particella carica, in moto in un materiale, dipendono dalla velocità della particella. Più è rapido il moto e meno simmetrica sarà la polarizzazione.

 

Se il movimento della carica è lento, la polarizzazione è pressoché simmetrica e le radiazioni prodotte interferiscono vicendevolmente, con il risultato che all'esterno del mezzo non trapela nulla. Se, invece, la particella carica si sta muovendo a elevata velocità, la simmetria della polarizzazione viene compromessa e in particolari condizioni – quando cioè la velocità della particella è superiore a quella consentita alla radiazione in quel mezzo – le radiazioni dei dipoli si sommano tra loro e si genera la radiazione scoperta da Cherenkov.

Il caratteristico “bagliore blu” che solitamente si osserva nelle immagini del nocciolo di una centrale nucleare, circondato dall'acqua che fa da refrigerante, è dovuto proprio alla radiazione Cherenkov. Poiché l'intensità della radiazione dipende dagli elettroni ad alta energia prodotti nelle reazioni di fissione, viene utilizzata dai tecnici proprio per misurare l'intensità di tali reazioni.

E cosa c'entra in tutto questo l'astronomia? Molto più di quanto si possa pensare.

Costantemente la Terra viene bombardata da un flusso di particelle incredibilmente energetiche generate nel cuore dei fenomeni più esotici e violenti dell'universo: supernovae, stelle di neutroni, buchi neri, quasar e altre diavolerie simili. Gli astrofisici li chiamano “raggi cosmici” e per nostra fortuna ci pensa l'atmosfera a proteggerci dal loro assalto. Quando una di queste particelle interagisce con l'atmosfera, però, può generare una coppia elettrone-positrone, due particelle cariche che si muovono a velocità relativistica e che dunque possono produrre radiazione Cherenkov. Da tempo sono operativi osservatori specifici – veritas, h.e.s.s. e magic, per esempio – che raccolgono tale radiazione e da essa traggono informazioni sulla provenienza e sull'energia trasportata dai raggi cosmici.

La Terra, inoltre, è continuamente attraversata da parte a parte da una spaventosa quantità di neutrini, anch'essi prodotti da fenomeni celesti. La fonte più vicina è il Sole, ma il flusso che ci colpisce proviene da ogni angolo dell'universo. Anche queste elusive particelle potrebbero dirci molto dei fenomeni che le hanno originate, ma catturarle rischia di diventare una missione impossibile. Talvolta, però, i neutrini collidono con un nucleo atomico e dall'interazione scaturisce un muone, una particella carica che sfreccia a velocità prossime a quelle della luce e dunque può generare radiazione Cherenkov. Questo è il principio che sta alla base di un'efficace trappola per neutrini: un grande contenitore riempito con atomi che facciano da bersaglio (più ce ne sono e più aumentano le probabilità che si verifichi un urto) e tutt'intorno un gran numero di fotorilevatori in grado di raccogliere la radiazione Cherenkov.

Seguendo questa idea, negli anni Ottanta, venne costruito in Giappone il Super-Kamiokande (50.000 tonnellate di acqua purissima circondate da 11.146 tubi fotomoltiplicatori) e, negli ultimi giorni del 2010, al Polo Sud è stato finalmente completato IceCube. In quest'ultimo caso è l'incontaminato ghiaccio antartico a fare da bersaglio e la radiazione Cherenkov è raccolta da 5160 sensori, collocati quali perle preziose in 86 distinte collane sprofondate anche fino a 2 chilometri e mezzo nella crosta ghiacciata.

Lo studio di quella debole luce blu non solo potrebbe dirci con precisione da quale angolo dell'universo provenga quel neutrino, raccontandoci qualcosa della sua origine, ma anche svelarci importanti dettagli su questa particella così diffusa e così misteriosa.

 


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