Già da tempo gli
astronomi hanno scoperto che l’universo è in espansione. In seguito
alla grande esplosione iniziale, il Big Bang, le galassie si allontanano
le une dalle altre simili a schegge di una bomba. Ma la mutua attrazione
gravitazionale delle galassie esercita un’azione frenante e gli scienziati
hanno cercato di capire quale possa essere il destino finale dell’universo.
È possibile che la gravità sia sufficiente a rallentarne
progressivamente l’espansione fino ad invertirne il moto. In questo caso
l’universo finirebbe con il collassare su se stesso. Alternativamente,
l’universo, pur continuando a rallentare, è destinato ad espandersi
per sempre. Nel 1998, tuttavia, è stata realizzata una scoperta
straordinaria destinata ad avere un grande impatto sulle nostre idee in
campo cosmologico.
Gli astronomi misurano la distanza
delle galassie lontane tramite l’osservazione delle supernovae, ovvero
l’esplosione di stelle che attraversano particolari fasi evolutive. Una
supernova è un evento estremamente luminoso (essa può avere
la stessa luminosità dell’intera galassia di appartenenza) la cui
brillanza, per altro, appare tanto minore quanto maggiore è la distanza
della galassia in cui è posta. È noto che le supernovae appartenenti
ad una particolare classe, le tipo Ia, emettono tutte la stessa quantità
di radiazione al momento dell’esplosione. La radiazione emessa nell’unità
di tempo, ovvero la luminosità assoluta, è stata ricavata
per le supernovae più vicine la cui distanza è nota.
Dal momento che tale luminosità
è la stessa anche per le supernovae lontane, dalla loro luminosità
apparente è possibile ricavarne la distanza. Si è trovato
che le supernovae distanti appaiono meno luminose del previsto, mostrando
la presenza di un’accelerazione che le ha trascinate a distanze
inaspettatamente grandi. Dunque non solo non c’è nell’universo materia
sufficiente da frenarne l’espansione, ma un meccanismo ancora misterioso
ne aumenta la velocità di espansione.
La spiegazione più semplice
risiede in una bizzarra energia che si ritiene permeare lo spazio producendone
l’espansione. Questa energia fu ipotizzata da Einstein nel 1917, quando
ancora si ignorava l’espansione dell’universo e si pensava che fosse statico.
Einstein, applicando la teoria della relatività generale da lui
stesso formulata nel 1915, introdusse nelle equazioni la costante cosmologica
lambda per rappresentare
l’energia repulsiva necessaria ad impedire che il modello di universo da
lui elaborato collassasse sotto la propria gravità.
Quando nel 1929 Edwin Hubble scoprì
l’espansione dell’universo, Einstein rigettò la costante cosmologica
bollandola come il più grande errore della sua vita. Infatti, se
l’espansione è dovuta al Big Bang, l’esplosione da cui ha avuto
origine il cosmo, non è necessaria ipotizzare una forza repulsiva
per spiegare il reciproco allontanamento delle "schegge". Tuttavia recenti
osservazioni hanno stabilito che le supernovae sono dal 10% al 15% meno
luminose di quanto ci si possa aspettare anche nel caso più favorevole
di un’espansione uniforme non rallentata dalla gravità (in cui le
distanze sono massime). Questa scoperta ha restituito dignità scientifica
alla costante cosmologica la quale addirittura risulterebbe essere dominante.
Secondo le teorie più semplici,
i dati riguardanti le supernovae implicherebbero che il 70% dell’energia
è sotto forma di ,
mentre solo il rimanente 30% è associato alla materia (secondo la
formula E=mc2, dove c è la
velocità della luce ed E è l’energia associata
ad una massa m).
La spiegazione fisica di
va ricercata nella meccanica quantistica, da cui è noto che lo spazio
vuoto è in realtà sede di una inesauribile attività
subnucleare. Il vuoto quantistico è un continuo ribollire di particelle
ed antiparticelle virtuali che vengono formate per poi scomparire annichilendosi
a vicenda. L’energia associata a questa attività, tuttavia, risulta
essere diversi ordini di grandezza maggiore di quella richiesta per interpretare
i dati relativi alle supernovae.
Al momento i fisici stanno cercando
nuove e più "esotiche" particelle elementari che possano confermare
una delle varie Teorie di Unificazione atte a risalire, come dice la parola,
al principio primo da cui discendono le varie forze che conosciamo (gravitazionale,
elettromagnetica, debole, nucleare) e che, sperabilmente, renda conto anche
della corretta intensità dell’energia del vuoto.
Un’ultima considerazione riguarda l’età
dell’universo. Se l’universo è in espansione accelerata, esso risulta
essere più vecchio di quanto non si pensasse. Infatti in passato
l’espansione era più lenta, e dunque il cosmo deve avere impiegato
un tempo maggiore per raggiungere le dimensioni odierne rispetto al caso
di un’espansione frenata, in cui le velocità, in passato, erano
maggiori delle attuali.
Queste valutazioni pongono fine ad
una diatriba sorta pochi anni fa tra cosmologi ed astronomi, dal momento
che questi ultimi stimavano, per le stelle più vecchie, un’età
superiore a quella valutata per l’universo! Benchè nel tempo
le stime di queste due età tendessero a convergere verso valori
mutuamente consistenti, la scoperta di un’espansione accelerata risolve
definitivamente il problema.
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