E' impossibile dare in
questa sede una trattazione rigorosa di come si possa risalire al moto
dell’universo a partire dalla misura di luminosità delle SNIa. Diamo
tuttavia qui di seguito una traccia che permetta al profano di intravedere
i concetti e le difficoltà in cui si imbattono i cosmologi.
Consideriamo una stella di luminosità assoluta costante L posta ad una distanza D . La radiazione emessa si allontana dalla stella in tutte le direzioni. Pertanto la quantità di energia che fluisce ogni istante attraverso una superficie sferica di raggio D centrata sulla stella deve essere uguale a L= 4D2. La luminosità apparente = L / (4D2) dà una misura di come la stella appaia sempre più fioca all’aumentare della distanza. Lo studio delle SNIa vicine - la cui distanza è nota - ha permesso di stabilire il valore di L, che risulta essere con buona approssimazione sempre lo stesso per tutte le supernovae. Dalla misura di è allora possibile ricavare la distanza di una SNIa lontana tramite la formula D(L / )1/2. Questi argomenti sono alquanto semplici
e funzionano bene per misurare, ad esempio, la distanza di oggetti all’interno
della nostra galassia o in galassie vicine. Se però consideriamo
sorgenti poste in galassie lontane non possiamo trascurare il moto di espansione
dell’universo. Sappiamo che una galassia posta a distanza D
si allontana con una velocità v proporzionale
a questa distanza secondo la legge di Hubble v=HoD
(dal nome dell’astronomo che per primo l’ha formulata), dove Ho
è detta appunto costante di Hubble.
Torniamo ora alla determinazione della
distanza delle supernovae.
E' noto che l’energia trasportata dalla
radiazione è tanto minore quanto maggiore è la sua lunghezza
d’onda. Pertanto la luminosità apparente
di una sorgente in allontanamento deve "affievolirsi" di un fattore (+ )/ =(1+z)
a causa dell’effetto Doppler. Il secondo fattore (1+z) presente
nella formula cosmologica di
è dato dal ben noto effetto relativistico della dilatazione dei
tempi (si veda Spigolatura n.1/2000). L’orologio "agganciato" alla
sorgente che si allontana da noi corre più lentamente di quello
al nostro polso. Dunque il numero Nv di fotoni
emessi in un secondo (per la sorgente) ci raggiungeranno distribuiti su
di un intervallo temporale maggiore di un secondo per il nostro orologio.
= D (1+z) = (c / Ho) z (1+z), dove l’ultimo passaggio è stato
ottenuto utilizzando la relazione v = c z nella legge di
Hubble.
= (c / Ho) z (1+0.5 z) valida per un universo che si espande senza rallentare, ovvero un universo in cui la gravità dovuta alla materia presente è trascurabile. In realtà noi non sappiamo quanta
materia c’è nell’universo; nel caso ve ne fosse in misura tale da
produrre un effetto frenante sull’espansione tramite la sua gravità,
il cosmo avrebbe dimensioni minori e la distanza
avrebbe una diversa dipendenza da z e sarebbe più
piccola.
In realtà gli astronomi, in
analogia all’occhio che risponde logaritmicamente allo stimolo luminoso,
spesso descrivono l’energia ricevuta dalle sorgenti per mezzo della magnitudine
apparente definita come m = - 2,5log+cost
Questa è precisamente la quantità
graficata nella figura (adattata da Perlmutter et al., 1999, The Astrophysica
Journal, vol. 517, p. 565). In particolare, la linea superiore mostrata
nella figura illustra l’andamento di m(z) nel caso di un’espansione
"libera" (la formula ottenuta più sopra); la linea inferiore mostra
l’andamento della magnitudine apparente nel caso di un universo destinato
a rallentare l’espansione fino a invertire il moto e "richiudersi".
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