|
|
|
|
|
Il battito delle Cefeidi
Claudio
Elidoro
Tra i fatti
più evidenti che mostrarono come l'immutabilità dei cieli propugnata da
Aristotele fosse da rivedere vi fu certamente la scoperta che la luminosità
di alcune stelle non rimanesse sempre la stessa. Probabilmente da tempo si
sospettava che qualcosa non andava in quell'antica filosofia dato che,
improvvisamente, si poteva osservare l'accendersi in cielo di astri “nuovi”
mai osservati prima di allora. Forzando un po' la mano, considerata anche la
rarità del fenomeno, si poteva ancora interpretarli come occasionali messaggi
divini, ma con la scoperta delle stelle variabili la faccenda prese proprio
un'altra piega. La
prima variabile ad essere scoperta fu Omicron Ceti (più tardi battezzata
Mira, la Meravigliosa), descritta come stella nova fin dal 1596, ma
identificata nel 1638 da Johannes Holwarda
(1618-1651) come un astro la cui luminosità variava lungo un ciclo di circa
11 mesi. Poi fu la volta, nel 1669, di Algol (β
Persei) detta anche la stella del demonio, libera
interpretazione del nome arabo Ras al-Ghul che
significa “testa del diavolo”. Scoperta da Geminiano Montanari (1633-1687),
la sua variazione luminosa venne correttamente spiegata nel 1784 da John Goodricke (1764-1786) ricorrendo al verificarsi di una
mutua eclisse tra le sue due componenti. Al termine del xviii secolo erano circa una
decina le stelle delle quali era stata riconosciuta la variabilità e tra di
esse figurava una stella che occupa un posto importante nella storia
dell'astronomia: δ Cephei, il prototipo delle
variabili Cefeidi. Giusto per non fare torti, è comunque doveroso ricordare
che la prima Cefeide in assoluto ad essere individuata fu η Aquilae, scoperta da Edward Pigott
(1753-1825) – il mentore di Goodricke – nello
stesso anno in cui John Goodricke scopriva δ Cephei. Fino
all'inizio del xx
secolo le Cefeidi erano tutto sommato considerate variabili come le altre. È
vero, c'era qualcosa di curioso nelle misurazioni che le riguardavano (si vedano
le Figg. 1 e 2), ma nulla
lasciava presagire che ben presto sarebbero diventate uno strumento
indispensabile per gli astronomi alle prese con il problema della misurazione
delle distanze cosmiche. Fig. 1. Il grafico mostra le tipiche
variazioni dei differenti paramenti di una Cefeide. Si può notare come le
variazioni non riguardino unicamente la luminosità, ma anche il colore, le
dimensioni dell'astro e la velocità degli strati più esterni, segno evidente
di una sorta di “pulsazione” della stella. Fig. 2. Curva di luce e curva di
velocità radiale di δ Cephei. Si può notare
come le due curve siano praticamente speculari, con la velocità che diventa
massima – come se la stella si stesse allontanando – quando la luminosità è
minima. (Fonte: Gratton,
Introduzione all'astrofisica, p.
199). La
svolta decisiva nel destino di queste variabili si ebbe nel 1912 con la
pubblicazione di uno studio di Henrietta Swan Leavitt (1868-1921) riguardante
una ventina di Cefeidi della Piccola Nube di Magellano. A quell'epoca, la
distanza della Nube era ancora oggetto di accese discussioni, ma
all'astronoma dell'Osservatorio di Harvard non sfuggì una chiara correlazione
tra le magnitudini apparenti di quelle Cefeidi e il loro periodo. Poiché,
però, le stelle erano tutte alla stessa distanza – qualunque essa fosse – era
evidente l'esistenza di un legame tra il periodo di variabilità e la loro
luminosità intrinseca, legame che poteva dunque essere sfruttato per
utilizzare le Cefeidi quali indicatori di distanze cosmiche. Se,
infatti, valeva una relazione del tipo Mv = – a · log10 P – b in cui Mv
indicava la magnitudine assoluta, P
il periodo e a
e b costanti da
calibrare opportunamente, dal periodo di una Cefeide era deducibile la sua
magnitudine assoluta e, nota questa, era possibile risalire alla distanza
della stella. Applicando
la scoperta ai suoi dati, Ejnar Hertzsprung
(1873-1967) provò dunque a determinare la distanza della Piccola Nube, ottenendo
un valore di 37 mila anni luce (in realtà si trova a circa 200 mila anni
luce). Sei anni più tardi anche Harlow Shapley (1885-1972) riprese l'intuizione di Miss Leavitt e, dopo aver calibrato la relazione, la utilizzò
per determinare la distanza di alcuni ammassi globulari della Via Lattea,
misure che poi utilizzò per sostenere la sua tesi che la nostra Galassia
coincidesse con l'intero universo. Nel 1924, però, Edwin Hubble
(1889-1953) scoprì alcune Cefeidi nella Nebulosa di Andromeda e le utilizzò
per calcolare la distanza di quella galassia: una misura che dimostrò come Shapley e i suoi sostenitori avessero torto. Quello
della calibrazione è sempre stato il punto più dolente della relazione
Periodo-Luminosità (P-L), anche perché le Cefeidi più prossime a noi sono
comunque troppo lontane per poter determinare con precisione la loro distanza
impiegando il metodo della parallasse trigonometrica. Un ritocco sostanziale
alla relazione di Shapley venne apportato nel 1952
da Walter Baade (1893-1960) grazie allo studio
delle prime immagini fotografiche della Nebulosa di Andromeda acquisite con
il nuovo telescopio da 5 metri di Monte Palomar. Si
scoprì inoltre che esistevano almeno due popolazioni di Cefeidi
caratterizzate ciascuna da una differente relazione P-L (vedi Fig. 3). Fig. 3. Le Cefeidi cosiddette
“Classiche” (come δ Cephei) sono stelle di
Popolazione i caratterizzate da elevata ricchezza di metalli, mentre quelle
del tipo W Virginis sono di Popolazione ii (dunque più vecchie) e ne sono più povere.
Comportamento simile alle Cefeidi lo mostrano anche le variabili di tipo RR Lyrae, stelle meno luminose e ancora più povere di
metalli (ricordiamo che in astronomia con il termine “metalli” si indicano
gli elementi più pesanti dell'elio). Al
di là delle difficoltà di calibrazione, comunque, l'estrema regolarità della
variazione luminosa rende le Cefeidi ottime candele campione. La scoperta di
Cefeidi nelle altre galassie ha infatti permesso una valutazione
sufficientemente accurata delle distanze in gioco e il fatto poi che si
tratti di stelle sufficientemente luminose (sono stelle giganti o
supergiganti) permette di applicare il metodo fino a grandi distanze.
Recentemente, per esempio, l'individuazione grazie al telescopio spaziale Hubble di Cefeidi nella galassia M100 ha permesso di
determinare la sua distanza in 56 milioni di anni luce. |