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F = ma oppure m = F/a ?
Annibale
D’Ercole
I concetti di
massa, spazio e tempo sono talmente basilari da non essere riconducibili a idee
ancora più primitive; essi sono pertanto impossibili da definire esattamente.
In questa nota discuteremo della massa, mentre per gli altri due riterremo
valida la definizione “operazionista”: spazio e
tempo sono, rispettivamente, ciò che viene misurato da un metro e da un
orologio. [Per dare un’idea del limite evidenziato dal metodo operazionista, si rifletta sul fatto che la distanza di
una sorgente astronomica viene misurata con svariati metodi (parallasse,
luminosità apparente, ecc.) ma ovviamente mai con un metro! Ricondurre cose
misurate in maniera diversa a un unico concetto assoluto di lunghezza
rappresenta un salto logico inconsistente.] Su
queste basi possiamo facilmente definire, ad esempio, il volume di un oggetto
come una misura dello spazio occupato dall’oggetto stesso. Ma la sua massa
solo apparentemente può essere definita con pari immediatezza. Essa potrebbe
essere descritta, semplicemente, come la quantità di materia di cui è
composto l’oggetto (come in effetti fece Newton). Ma questo sposta
l’attenzione sulla definizione di materia, un argomento molto scivoloso.
Ovviamente, un elefante è molto più massiccio di una pulce perché contiene
molti più atomi; ma che dire della massa delle particelle elementari che
compongono gli atomi? Come definire la quantità di materia in esse contenuta? È
allora invalsa la consuetudine di definire la massa non per quello che è, ma per quello che fa, tracciando pertanto una
separazione netta dalla definizione, ad esempio, di volume. Purtroppo, anche
con questo escamotage le ambiguità
non vengono del tutto eliminate in quanto la massa si comporta in due modi
diversi. Una
ben nota caratteristica della massa è il suo nesso con la forza di gravità,
un effetto cruciale per l’esistenza del nostro universo. Senza massa non ci
sarebbe gravità e senza gravità la materia non si sarebbe addensata in
galassie e stelle … e noi non esisteremmo. Pertanto, grazie a questa caratteristica,
sembra naturale definire la massa tramite l’azione gravitazionale: maggiore è
l’intensità con cui un oggetto è “tirato” verso terra, maggiore è la sua
massa (che per questo viene detta massa gravitazionale).
In altre parole, la massa di un corpo viene a confondersi con il suo peso (e infatti viene misurata in
grammi). Una simile confusione era giustificabile in passato, ma oggi non
potrebbe avvenire. Grazie alle missioni spaziali, anche i bambini sanno che
su altri corpi celesti il peso è diverso (sulla Luna, ad esempio, un
astronauta pesa un sesto di quanto pesa sulla Terra), mentre nello spazio gli
oggetti sono del tutto privi di peso. Dunque, confondere la massa di un
oggetto con il suo peso è sbagliato, perché la massa dei corpi non varia né
svanisce, ma rimane costante. C’è
però un altro comportamento legato alla massa di un corpo. Essa determina
quanto varia la velocità del corpo quando è sottoposto all’azione di una
forza. Spingere il proprio motorino in panne al bordo della strada è decisamente
più agevole che spingere un camion in analoghe circostanze. In generale, gli
oggetti sono dotati di una certa “pigrizia”, per cui tendono a resistere ad
ogni tentativo esterno di cambiare la loro velocità: se sono fermi si
oppongono alla forza che tende a metterli in movimento, e se sono in moto
resistono ad ogni forza frenante (questo è precisamente il primo principio di
Newton). In termini più tecnici, questa pigrizia viene chiamata inerzia. Il camion, avendo una massa
maggiore, oppone una resistenza maggiore alla nostra forza muscolare e alla
variazione di velocità da essa indotta. Dunque, maggiore è la massa di un
oggetto, maggiore è la forza che dobbiamo impiegare per accelerarlo o
rallentarlo (a causa di questa caratteristica si parla di massa inerziale). A
questo punto possiamo apprezzare pienamente il genio di Newton che capì per
primo l’importanza del concetto di massa distinto da quello di peso: «Consideriamo ad esempio un grosso peso sospeso a guisa di pendolo a
un filo molto lungo. Esso può essere trattenuto con poca fatica in una
posizione molto vicina a quella di equilibrio. La componente del peso che
porta il pendolo nella posizione di equilibrio è molto piccola. Tuttavia,
avvertiamo una certa resistenza quando cerchiamo di mettere rapidamente in
moto il pendolo o di fermarlo se è in moto. Da ciò si può riconoscere quindi
che la massa è effettivamente una proprietà determinante il moto, diversa dal
peso». Da quanto
detto fino ad ora sembrerebbe, dunque, di poter definire la massa di un
oggetto tramite la resistenza opposta dall’oggetto stesso all’azione
esercitata su di esso da una forza nota. A questo punto, però, dobbiamo
sapere esattamente cos’è una forza, e come si misura. Ma qui si entra in un
circolo vizioso. La forza rappresenta, per Newton, tutto ciò che è esterno a un corpo, ma
che ne influenza il moto. Sebbene pare che lo scienziato inglese fosse
personalmente convinto di una spiegazione meccanicistica delle forze, pure
nei Principia le trattò
dichiaratamente solo come ipotesi matematiche. Nel caso della gravità, ad
esempio, si limitò a enunciare la celebre legge dell’inverso del quadrato
della distanza deducendola dallo studio del moto dei pianeti, senza però dare
spiegazioni sul perché due corpi si attraggono, e perché proprio con quella
legge («hypoteses
non fingo»). Dunque,
noi non conosciamo l’essenza delle forze, ma ne deriviamo le caratteristiche tramite
l’effetto che producono sul moto degli oggetti sui quali vengono applicate.
Ma tutto questo rappresenta il classico serpente che
si mangia la coda. Infatti, in precedenza avevamo concluso che la massa di un
oggetto può essere ottenuta una volta che si misuri l’accelerazione prodotta
da una forza nota; ma la forza, a sua volta, si può misurare solo tramite
l’accelerazione indotta su un oggetto di massa nota. Questa
incongruenza non poteva essere colta da Newton perché egli credeva di essere
riuscito a dare una definizione assoluta di massa come “quantità di materia” tramite il
prodotto di volume per densità, considerando quest’ultima, scorrettamente,
una nozione irriducibile. Ma, come abbiamo già
detto all’inizio, questa definizione di massa non è soddisfacente e si pone
dunque, lo ripetiamo, un’ambiguità simile a quella dell’uovo e della gallina:
per determinare la massa bisogna conoscere prima la forza, ma questa si
ottiene se già si conosce la massa. Questo circolo
vizioso fu spezzato dal fisico austriaco Ernst Mach nel 1868. Oltre la
seconda legge di Newton, riguardante l’effetto di una forza esterna sul moto
di un corpo, Mach prese in considerazione anche la terza legge della
dinamica. Questa legge, nota anche come il principio di azione e reazione, stabilisce che due corpi
interagenti tramite una qualsiasi forza (gravitazionale, elettrica, ecc.)
inducono ognuno variazioni nel moto dell’altro. Consideriamo, ad esempio, due
diversi nuclei atomici (come il nucleo dell’atomo di idrogeno, composto da un
semplice protone, e il nucleo dell’elio, composto da due protoni e due
neutroni) che si vanno avvicinando l’uno all’altro. Fintanto che la loro
distanza è grande possiamo assumere che non “si vedono”; man mano che si
avvicinano, però, la forza repulsiva che si esercita tra loro a causa della
rispettiva carica elettrica fa sì che ognuno tenda a deflettere dalla propria
traiettoria rettilinea per evitare di avvicinarsi troppo all’altro. [Ricordiamo che la forza
elettrostatica, detta forza di Coulomb, esercitata da una particella carica
varia come l’inverso del quadrato della distanza.] La forza che si
esercita tra le due particelle è ovviamente la stessa per entrambe, ma
l’accelerazione di ognuna dipende dalla propria massa, come stabilito dalla
seconda legge della dinamica. Dunque, misurando la diversità delle
accelerazioni dei due nuclei, possiamo risalire alla diversità tra le loro
masse. Più precisamente, il rapporto tra le due masse è pari all’inverso del
rapporto tra le due accelerazioni. Il punto cruciale di questo schema logico
è che non è possibile dare una misura assoluta della massa di un oggetto
(come pretendeva Newton) ma solo un valore relativo alla massa di un altro
corpo. Dall’esempio precedente non è possibile ricavare una misura assoluta
della massa dell’elio, ma possiamo solo dire che essa è (circa) quattro volte
superiore a quella del protone.
È
pertanto necessario definire convenzionalmente la massa di un qualche oggetto
come massa standard alla quale paragonare la massa di tutti gli altri corpi.
L’oggetto scelto come standard è un cilindro composto di una lega di
platino-iridio. La sua massa vale, per definizione, 1 kg ed è presa come
standard internazionale. Questo cilindro è conservato nel Bureau International des
Poids et Mesures
(www.bipm.org), vicino Parigi. Sue repliche si possono trovare in vari
laboratori nazionali e vengono periodicamente confrontate con questo standard
(p.e. in Italia, l'Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica (www.inrim.it),
ente pubblico nazionale, afferente al Ministero dell'Università e della
Ricerca). |