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La materia oscura nelle galassie a
spirale
Annibale
D'Ercole
Osservatorio
Astronomico - Bologna
È ben noto che i pianeti ruotano
attorno al Sole seguendo le tre leggi di Keplero. Fu anche grazie a queste
leggi che Newton riuscì a descrivere la forza di gravità secondo la nota
formula (1) In questa formula, G rappresenta la costante di gravità,
Ms
e Mp indicano,
rispettivamente, la massa del Sole e di un pianeta ed r la loro distanza. Il segno negativo sta a indicare la direzione
centripeta della forza. Benché l’orbita reale
dei pianeti sia di forma ellittica, in quel che segue assumeremo, per
semplicità, che le orbite planetarie siano circolari (l’orbita della Terra,
per esempio, è solo debolmente ellittica). Dal momento che i pianeti hanno
masse enormemente più piccole di quella del Sole, quest’ultimo è praticamente
fermo e il suo centro coincide con il centro dell’orbita planetaria. L’orbita
del pianeta è stabile, esso cioè continua a percorrere da miliardi di anni
sempre la stessa traiettoria, senza cadere verso il Sole, nonostante
l’attrazione di quest’ultimo. Questo è possibile grazie all’azione della
forza centrifuga che insorge a causa della rivoluzione del pianeta attorno al
Sole. In effetti, un pianeta che si muove con velocità V “si sente” sottoposto a due forze: la forza centripeta del Sole
e quella centrifuga . (2) Dunque, per rimanere
sempre alla stessa distanza dal Sole, bisogna che le due forze si equivalgano
e che il risultato netto sia nullo, ovvero Fg = -Fc
(il segno negativo è dovuto al fatto che le due forze puntano in
direzioni opposte). Da quest’ultima uguaglianza e dalle equazioni (1) e (2),
si ottiene V = K/r ½,
dove K = (GMs )½ è una costante. Pertanto, ci si aspetta che i
pianeti più distanti siano più lenti (orbita kepleriana) e in effetti questo
è proprio quello che si osserva. La struttura della Via
Lattea è grosso modo data da una sfera centrale (il “bulge”)
e da un disco sottile più esteso. Le stelle sul disco ruotano attorno al
centro del bulge che coincide con quello del disco.
La curva di rotazione, ovvero l’andamento della velocità orbitale delle
stelle a seconda della loro distanza, è data in Fig. 2. Vediamo ora come sia possibile, grazie al
bilanciamento tra gravità e forza centrifuga, risalire dalla curva di
rotazione alla distribuzione della massa nella galassia. Consideriamo dapprima
una stella di massa M*
che abbia una distanza r dal
centro inferiore al raggio del bulge. La gravità
che agisce su di essa è data dell’equazione (1), in cui Mp viene sostituito da M* e Ms da M(r),
ovvero dalla massa del bulge compresa fino alla
distanza r. Nella semplice ipotesi
che la densità di stelle ρ sia
costante nel bulge, si ottiene ovviamente M(r) = (4π/3)ρr3.
Sostituendo Mp con M* anche nell’equazione (2),
e uguagliando le forze gravitazionale e centrifuga, come nel caso del Sistema
solare, si ottiene V = Kr, dove la
costante questa volta vale K =
[(4π/3)Gρ] ½.
Dunque, all’interno del bulge la velocità delle
stelle aumenta con la loro distanza dal centro. Questo andamento è
chiaramente visibile nel primo tratto della curva di rotazione che
effettivamente cresce linearmente con r. Per le stelle con raggi
orbitali maggiori del raggio del bulge, ci si
aspetta che le velocità si comportino keplerianamente
perché la situazione è simile a quella del Sistema planetario, con il bulge al posto del Sole e le stelle sul disco al posto
dei pianeti. Dal momento che la curva di rotazione invece è piatta, è
necessario ipotizzare che la massa che origina la gravità avvertita dalle
stelle non sia concentrata al centro ma abbia un andamento radiale del tipo M(r) µ r [1].
In tal caso, infatti, dall’equazione (1) abbiamo Fg µ 1/r e, imponendo la solita
uguaglianza con la forza centrifuga ‑ equazione (2) ‑ otteniamo
effettivamente V = costante,
ovvero una velocità indipendente da r,
come osservato. All’interno di una sfera
la cui massa cresca linearmente con il raggio, come ipotizzato più sopra, la
materia deve essere distribuita con una densità il cui andamento radiale è ρ µ 1/r2.
Infatti, dal momento che il volume sferico è proporzionale al cubo del raggio
(V µ r3)
e la massa è data dal prodotto della densità per il volume, si ottiene
proprio M(r) = ρV
µ r.
In conclusione, le
galassie si trovano all’interno di un alone sferico di materia, molto più
esteso del disco stellare e la cui densità decresce come l’inverso del
quadrato della distanza. La forza di gravità esercitata da questo alone è
assai superiore a quella esercitata dal bulge. In effetti,
si valuta che la massa di quest’alone invisibile possa arrivare a essere
dieci volte maggiore di quella stellare visibile. Non sappiamo ancora da cosa
sia composta questa materia oscura, ma si ritiene che non sia materia
ordinaria (ossia composta da protoni e neutroni) ma “esotica”, ovvero
composta da particelle elementari non ancora osservate in laboratorio, ma
previste dai fisici della materia. Proprio l’elusiva natura
della materia oscura ha indotto alcuni (pochi) astrofisici a negarne
l’esistenza, e spiegare la costanza della curva di rotazione tramite la
teoria mond
(MOdified Newtonian
Dynamics). Dal momento che non è mai stato possibile verificare la classica
formula per la gravità di Newton per distanze superiori alle dimensioni del
Sistema solare (dove funziona molto bene), si ipotizza che a grandi distanze
la gravità decresca come l’inverso della distanza, Fg µ 1/r, piuttosto che come
l’inverso del quadrato di questa (equazione (1)). In questo caso,
l’uguaglianza tra gravità e forza centrifuga dà luogo effettivamente a una
curva di rotazione piatta. |
[1] Il simbolo µ non indica uguaglianza ma proporzionalità. Ad esempio, un espressione
del tipo Fg µ 1/r2 non ci dice il valore della forza, ma esprime la
proporzionalità tra questa e l’inverso del quadrato della distanza: in altri
termini, descrive come la forza dipende dalla distanza.