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La massa di Jeans
Annibale
D’Ercole
L’universo
mostra strutture di diversa estensione, quali stelle, ammassi stellari, galassie
ed ammassi di galassie. D’altra parte, la materia scaturita dal Big Bang era
inizialmente distribuita alquanto omogeneamente nello spazio cosmico. In
questa nota indagheremo su come il gas primigenio, pur partendo da una simile
condizione di uniformità, sia riuscito ad organizzarsi nelle strutture oggi
osservate. In caso di distribuzione perfettamente
uniforme, un gas non potrebbe dare luogo ad alcuna struttura giacché ciascun
elemento di fluido sarebbe attratto gravitazionalmente dal gas circostante,
in ugual misura e lungo ogni direzione, ed in definitiva non si muoverebbe. È
tuttavia possibile, anzi probabile, che il gas venga perturbato per qualche
motivo; in questo caso in esso si propagano delle onde, similmente alle onde
che si producono sulla superficie di uno stagno quando lo perturbiamo
gettandoci un sasso. Le onde nel gas interstellare si comportano come le
ordinarie onde sonore, creando regioni di compressione e di rarefazione di
dimensioni paragonabili alla lunghezza d’onda. Queste regioni si alternano
periodicamente, e il gas contenuto in ognuna di esse si comprime e si dilata
variando la propria densità in modo oscillatorio (Fig. 1). Fig.
1. Onda
sonora propagatesi nell’aria. Si producono zone, delle dimensioni dell’ordine
della lunghezza d’onda, in cui l’aria si rarefa ed
altre in cui si addensa. In queste ultime la pressione è maggiore e dunque il
gas si espande nelle zone meno dense adiacenti. Questo andamento procede
ciclicamente e la densità di ogni singolo elemento di gas oscilla nel tempo. Tuttavia, contrariamente alle
ordinarie onde sonore della nostra quotidianità, le onde che si propagano in
un gas astrofisico possono avere lunghezze d’onda molto grandi; le relative
regioni di oscillazione hanno volumi molto estesi e contengono quindi masse
considerevoli di gas la cui forza di gravità non è trascurabile. Succede
allora che, per lunghezze d’onda superiori ad una determinata lunghezza critica,
detta “lunghezza di Jeans”, la massa compressa “non ce la fa” a riespandersi per seguire l’oscillazione perché prevale la
propria autogravità che favorisce la compressione;
questa massa, pertanto, si “distacca” dal gas circostante dando luogo ad una
struttura autonoma. La massa minima necessaria per dare luogo a tale
struttura è quella contenuta in un volume delle dimensioni lineari
dell’ordine della lunghezza di Jeans, e viene detta pertanto “massa di
Jeans”. Per quel che diremo tra poco, è bene specificare che la massa di
Jeans MJ è tanto maggiore quanto maggiore è la
temperatura T del gas e minore la sua densità r; più specificatamente (si veda il livello avanzato). Una spiegazione
qualitativa di questa relazione è la seguente: se la temperatura del gas è
alta, è necessaria una massa maggiore affinché la gravità prenda il
sopravvento sull’energia termica che tende a farla riespandere;
in caso di densità elevata, invece, la gravità è più “concentrata” ed è
sufficiente una massa minore affinché possa prevalere. Vediamo ora come evolve una struttura
che si è venuta a formare tramite il meccanismo di Jeans. Essa consiste
essenzialmente di un nuvolone sferico, in quanto la propria gravità agisce in
tutte le direzioni in ugual misura, e non ci sono direzioni particolari che
giustifichino uno scostamento dalla simmetria sferica (si trascura qui la
possibile rotazione della nube). La nube tende a porsi in equilibrio
idrostatico in cui l’autogravità è bilanciata dalla
pressione del gas che “spinge” verso l’esterno. Infatti, la gravità, nel
tentativo di comprimere la nube, ne aumenta la temperatura e questo
incremento di energia termica la fa riespandere
fino al raggio di equilibrio [NdA: È noto
dalla termodinamica che un gas compresso aumenta la propria temperatura. Una
semplice dimostrazione di questo meccanismo lo abbiamo quando gonfiamo le
ruote di una bicicletta: la pompa si scalda perché parte del lavoro fatto per
comprimere l’aria va ad aumentare l’energia termica di questa. È vero anche
il contrario: un gas in espansione raffredda. Su questo principio è basato il
funzionamento dei frigoriferi].
Questo equilibrio può però essere spezzato dalla presenza di perdite
radiative che “smaltiscono” parte dell’energia termica della nube. È infatti
noto che qualunque corpo caldo irraggia tanto più quanto maggiore è la sua
temperatura. Se la nube è relativamente poco densa, i fotoni emessi dal gas,
anche nelle zone centrali, sono in grado di fuoriuscire rapidamente senza
realizzare troppi urti con gli atomi circostanti: in altre parole, la nube è
trasparente. Allora l’incremento di energia termica dovuto alla compressione
viene irraggiato rapidamente e il gas rimane più o meno a temperatura costante.
Il collasso non è più contrastato, e la nube riduce sempre più le sue
dimensioni, aumentando la propria densità. In queste condizioni, per quanto
detto più sopra, il valore della massa di Jeans si riduce. Dunque, sezioni
diverse nella nube soddisferanno indipendentemente il criterio di Jeans e
cominceranno a collassare localmente, producendo strutture più piccole
all’interno della nube originale. In ogni sottostruttura il meccanismo può
ripetersi, portando alla formazione di un grande numero di oggetti più
piccoli. Si realizza, pertanto, una frammentazione gerarchica. Questo procedimento a cascata si
interrompe quando i frammenti, a causa della loro elevata densità, diventano
opachi alla radiazione. I fotoni prodotti urtano continuamente con gli atomi
circostanti e rimangono intrappolati a lungo all’interno del gas. In questo
caso il calore generato dalla compressione viene perso molto lentamente e può
contrastare efficacemente un ulteriore collasso, bloccando la frammentazione
gerarchica. I frammenti finali si stabilizzano e possono dar luogo a stelle;
gli ammassi globulari, oggetti galattici sferici composti da centinaia di
migliaia di stelle, potrebbero essere proprio il risultato di una
frammentazione gerarchica come quella che abbiamo descritto (Fig. 2). Fig.
2. Tra
i circa 200 ammassi globulari presenti nella nostra Galassia, M3 (qui
raffigurato) è uno dei più grandi e luminosi. Esso contiene circa mezzo
milione di stelle, ha un diametro di circa 150 anni luce e dista circa
100,000 anni luce da noi. È naturale cercare di applicare il
criterio di Jeans a livello cosmologico per studiare la formazione delle
prime strutture. Subito dopo il Big Bang l’universo era composto da un gas
rovente di idrogeno ed elio in rapida espansione e dalla radiazione cosmica
di fondo che allora era molto più intensa di oggi. Dal momento che il volume
dell’universo era molto più piccolo dell’attuale, il gas in esso contenuto
aveva una densità alquanto alta ed i fotoni della radiazione di fondo
urtavano continuamente con gli elettroni che, a causa dell’elevata
temperatura, non erano legati ai nuclei di idrogeno ed elio. In queste
condizioni, il gas non era in grado di formare strutture neanche per
perturbazioni con lunghezza d’onda maggiore di quella di Jeans. Infatti, a
contrastare la gravità non c’era solo la pressione del gas, ma anche quella
della radiazione che interagiva con gli elettroni e questi a loro volta
interagivano con i nuclei atomici tramite la forza elettrostatica. Dopo circa
350,000 anni la temperatura si abbassò a sufficienza per permettere agli
elettroni di combinarsi con i nuclei atomici. A questo punto il gas era
composto per lo più da atomi neutri con una scarsa propensione ad interagire
con la radiazione. Si verificò dunque un “disaccoppiamento” tra fotoni e
materia, dal momento che quest’ultima era diventata trasparente alla
radiazione. Le perturbazioni con massa superiore a quella di Jeans furono
allora libere di collassare dando luogo alle prime strutture. Benché la descrizione appena esposta appaia
ragionevole, essa in realtà non è soddisfacente. Si è infatti dimostrato che,
a causa dell’espansione dell’universo, le perturbazioni si contraggono
lentamente e non hanno tempo di produrre le strutture osservate oggi. Per
risolvere questo problema è necessario considerare la cosiddetta “materia
oscura”. La presenza di materia oscura è stata ipotizzata inizialmente una
settantina di anni fa per spiegare l’alta velocità con cui le galassie si
muovono all’interno degli ammassi di galassie. Se la gravità che tiene legate
queste galassie le une alle altre fosse dovuta solo alla massa osservabile
(cioè alle stelle in esse contenute), essa risulterebbe insufficiente e le
galassie si dovrebbero allontanare l’una dall’altra dissolvendo così
l’ammasso. Perché dunque l’ammasso possa sopravvivere così come noi lo
vediamo è necessario ipotizzare la presenza di una materia non luminosa, la
materia oscura appunto, una decina di volte più abbondante di quella
luminosa, la cui gravità trattenga le galassie nell’ammasso. Analogamente,
aloni di materia oscura devono avvolgere anche le singole galassie perché
possano trattenere le stelle al loro interno. La natura della materia oscura è
ancora misteriosa; si ipotizza che sia composta da particelle subatomiche non
ancora osservate ma previste dalle moderne teorie della materia. Una
caratteristica precipua di queste particelle, essenziale per il nostro
discorso, è quella di non interagire con la radiazione. Contrariamente a quel
che succede per la materia ordinaria (detta materia “barionica”), le
perturbazioni nella materia oscura possono svilupparsi e crescere anche
“prima” del disaccoppiamento, in quanto l’impedimento dovuto alla radiazione
è assente in questo caso. Avendo più tempo a disposizione, la materia oscura
crea aloni ben sviluppati che attraggono rapidamente la materia barionica che
darà luogo alle stelle che oggi osserviamo. I “frammenti” di gas che cadono
all’interno degli aloni di materia oscura hanno una massa pari alla massa di
Jeans della materia barionica; dopo il disaccoppiamento questa massa è
dell’ordine di 100,000 masse solari, circa un milionesimo di una galassia
come la nostra. Dunque le galassie si formano tramite successive aggregazioni
gravitazionali di questi “mattoni” iniziali in un processo detto merging. |