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Il principio di indeterminazione
Annibale
D’Ercole
Consideriamo un raggio
luminoso emesso da una sorgente, ad esempio un laser. Com’è noto, la luce del
laser è composta da un’onda elettromagnetica monocromatica, ovvero da
oscillazioni del campo elettrico (e magnetico) di una precisa lunghezza
d’onda l
che si propagano lungo la direzione del raggio luminoso. La Fig. 1 rappresenta una “istantanea” a
un determinato tempo del valore del campo elettrico lungo la direzione di
propagazione, con l’ampiezza A che
indica il massimo valore (positivo o negativo) assunto dal campo stesso.
Questo andamento può essere descritto semplicemente dalla funzione armonica
seno: Y(x) = Asin(kx) (1) Il
numero d’onda k è definito come k = 2p/l.
Y(x)
è ovviamente una funzione periodica: in particolare, essa si annulla nei
punti x = np/k, dove n=0,1,2,… assume solo valori interi.
Questi punti vengono detti “nodi”, e sono individuati in Fig. 1 [livello base]
dall’intersezione di Y(x) con l’asse x.
È
interessante vedere che succede quando due onde interferiscono, ovvero si
sovrappongono durante il loro percorso. Lo schema in alto nella Fig. 3 rappresenta due onde armoniche
di pari ampiezza e lunghezza d’onda (le due curve rosse e blu) sfasate in
maniera tale che i massimi di una si trovano in corrispondenza dei minimi
dell’altra. In questo caso la somma delle due onde dà luogo a un’onda
risultante ovunque nulla: in altre parole le due onde interferiscono
distruttivamente. Lo schema intermedio in Fig.
3 illustra l’interferenza di due onde di pari ampiezza e lunghezza d’onda nel
caso in cui i massimi e i minimi di una siano posizionati in corrispondenza
dei massimi e minimi dell’altra. In questo caso le due onde interferiscono
ovunque positivamente dando luogo a un’onda di stessa lunghezza d’onda, ma di
ampiezza doppia (indicata dalla linea nera spessa). Più interessante è il
caso mostrato dallo schema in basso di Fig.
3 in cui viene illustrata l’interferenza tra due onde di pari ampiezza, ma
con lunghezze d’onda (e dunque numeri d’onda) un poco diverse. L’onda
risultante è data da Y(x) = Asin(k1x) + Asin(k2x)
= 2Acos[0.5(k1-k2)x]sin[0.5(k1+k2)x], (2) dove l’ultimo passaggio
è stato ottenuto in base alle formule di prostaferesi. In Fig. 3 le curve rossa e blu
rappresentano le onde con numero d’onda k1
e k2,
mentre la curva nera spessa illustra l’andamento di Y(x). Il fattore sinusoidale in Eq. (2) rappresenta
un’onda molto simile a quelle originali, con un numero d’onda dato dalla
media dei valori delle due onde. Il fattore cosinusoidale ha una lunghezza
d’onda lc = 2p/Dk, con Dk =
k1-k2;
esso dunque varia assai più lentamente dell’altro e può essere considerato
come un’ampiezza variabile. Come risultante abbiamo dunque un’onda che ha
circa la stessa lunghezza, ma la cui ampiezza varia con x. La linea punteggiata in Fig.
3 rappresenta la curva 2Acos[0.5(k1-k2)x], mentre la linea tratteggiata
è simmetrica di questa rispetto all’asse x.
Y(x) si svolge tra le due, toccando
alternativamente l’una o l’altra. Sottolineiamo come, contrariamente al caso
dell’onda armonica, qui le oscillazioni tendono a raggrupparsi in una serie
di “pacchetti”, ognuno dei quali ha una estensione Dx = lc/2; ne segue dunque la relazione DxDk=p.
(3) Riprenderemo
tra poco questa importante relazione. Per il momento torniamo alla sorgente
luminosa dell’esempio da cui siamo partiti. Supponiamo questa volta che tale
sorgente rimanga accesa per un tempo brevissimo, in modo da emettere un
impulso luminoso simile al flash delle macchine fotografiche. Se a un dato
istante potessimo osservare le oscillazioni del campo elettrico dell’impulso
luminoso, vedremmo qualcosa di simile a quanto rappresentato in Fig. 4. Fig. 4. Pacchetto d’onda
gaussiano. Le
oscillazioni sono assenti a grandi valori di x perché la radiazione non vi è ancora giunta, ma sono assenti
anche “alle spalle” dell’impulso luminoso perché nessuna radiazione è stata
più emessa successivamente. Dunque tale impulso è descritto da un unico
pacchetto d’onda simile a quello mostrato in Fig.
4, e che può essere descritto come la sovrapposizione di un gran numero (al
limite infinito) di onde armoniche di diversa ampiezza e lunghezza d’onda,
tali per cui esse interferiscono distruttivamente ovunque, tranne che in una
ristretta regione dove è localizzato l’impulso luminoso (teorema di Fourier).
Una misura dell’estensione Dx di questa regione è
data, ad esempio, dalla larghezza a mezza altezza della “campana” che sagoma
il profilo del pacchetto (si veda la Fig.
4). Si può dimostrare che anche per questo generico pacchetto vale una
relazione simile all’Eq.
(3): DxDk=p.
(3) dove Dk rappresenta l’intervallo
di valori dei numeri d’onda assunti dalle onde armoniche che compongono il
pacchetto. Dunque, tanto più la posizione del pacchetto è localizzata, ovvero
il pacchetto è stretto, maggiore è il numero di armoniche (coprendo, nel loro
insieme, un intervallo Dk maggiore). Al
contrario, un pacchetto molto esteso è composto da un minor numero di
armoniche: al limite, esso coincide con una singola armonica nel caso di
un’estensione infinita. E
veniamo, finalmente, al collegamento tra la meccanica quantistica e quanto
abbiamo esposto finora. Nel 1905, nel corso dei suoi studi sull’effetto
fotoelettrico, Einstein introdusse il concetto di fotone (vedi in questa
rubrica nel n. 2, 2000, p. 63). Ci sono dei fenomeni – come l’effetto
fotoelettrico, appunto – che possono essere compresi solo abbandonando
l’interpretazione ondulatoria classica della radiazione e ammettendo che essa
possa essere descritta come uno “sciame” di fotoni, microscopiche particelle
di energia E = hn
(qui h rappresenta la costante di
Plank e n
la frequenza della radiazione). Già in fisica classica era noto che la
radiazione possiede una quantità di moto – o impulso – che può eventualmente
essere ceduto alle particelle con cui la radiazione si trovi a interagire (un
esempio spettacolare è dato dal gas delle code cometarie rosse che viene
soffiato via dalla radiazione solare che trasferisce ad esso parte del
proprio impulso). Dagli esperimenti risulta che l’impulso p associato ad un singolo fotone è
pari a p = hn/c = h/l. Le
esperienze di laboratorio di interferenza degli elettroni descritte nella
sezione precedente (il livello base di questa rubrica) hanno mostrato che
l’ambivalenza onda-particella, già scoperta per la radiazione, deve valere
anche per la materia. Per questo motivo, nel 1924 Louis-Victor Pierre de
Broglie (1892-1987) ipotizzò, in analogia al fotone, che anche l’elettrone
potesse essere descritto da una funzione oscillante, la funzione d’onda Y(x), la cui lunghezza d’onda, per un
elettrone di impulso p, sia l = h/p. Cosa fosse a oscillare
in relazione ad un elettrone rimase oscuro fino al 1927, quando Max Born (1882-1970) propose che Y(x) (o meglio, il suo modulo quadrato)
rappresenti la probabilità di trovare l’elettrone nel punto x: in questa interpretazione, nell’esperienza
dell’interferenza elettronica l’onda di probabilità di un singolo elettrone
“attraversa” entrambe le fenditure e le frange luminose si formano nei punti
dove è massima la probabilità di trovare un elettrone, ovvero dove la
funzione d’onda interferisce costruttivamente. Tuttavia,
in un qualunque esperimento, un elettrone è confinato in un volume limitato
all’interno della strumentazione adoperata. Di conseguenza, la sua funzione
d’onda non può essere descritta da una singola armonica di lunghezza d’onda l,
che invece si estende in tutto lo spazio. Piuttosto, Y(x) deve
essere rappresentata da un pacchetto d’onda come quello illustrato in Fig. 4. Deve dunque valere anche in
questo caso l’Eq.
(4) che, tenuto conto della relazione tra impulso e lunghezza d’onda, può
essere scritta come DxDp » h, (4) con h = h/2p.
Questa formula rappresenta il celebre principio di indeterminazione enunciato
da Werner Heisemberg nel
1927 e stabilisce che non è possibile misurare con grande precisione contemporaneamente
l’impulso e la posizione di una particella dal momento che, se l’incertezza Dx
sulla posizione è piccola, l’incertezza Dp
sull’impulso deve
essere grande, e viceversa. |